Dopo la straordinaria stagione disputata lo scorso anno con le maglie di Dinamo Sassari e Sef Torres, Alessandro Dore sta vivendo la sua prima esperienza fuori dalla Sardegna con la maglia di BluOrobica Bergamo. Ecco la storia di “Ice Sugo”.
Non tutti i mali vengono per nuocere. E questo, Alessandro Dore, talentuoso playmaker sassarese classe 2006, lo sa molto bene. Dopo aver affrontato un brutto infortunio nel 2022, con costanza, tenacia e dedizione è tornato a calcare i parquet isolani più esplosivo di prima. Lo scorso anno è stato uno dei protagonisti della serie C regionale con la maglia della Sef Torres, nonostante la giovane età, e quest’anno ha scelto di intraprendere un nuovo percorso lontano da casa per continuare il suo percorso di crescita. Ecco quanto emerso dalla nostra chiacchierata.
Com’è nata la passione per la pallacanestro e qual è il legame tra la tua famiglia e questo sport?
Il laccio con questo sport esiste fin da quando sono piccolo, infatti nasce tutto in un ambiente familiare. Siamo una famiglia di baskettari, partendo da mio padre che è stato giocatore, arbitro, dirigente e presidente, a mia madre che è ex giocatrice, inclusi i miei zii e i miei cugini (tra cui Massimo Chessa). La pallacanestro, perciò, è sempre stata una parte fondamentale della nostra vita e il palazzetto della Dinamo è sempre stato un importante punto di ritrovo che teneva uniti tutti noi amanti della palla a spicchi. Posso dire, dunque, che fin da bambino ho sempre avuto la palla in mano e che questa passione sia nata in maniera del tutto naturale.
Alessandro ha iniziato a giocare a basket all’età di 3 anni: il suo percorso comincia al Basket 90 Sassari, poi il minibasket tra Dinamo Sassari e Dinamo 2000 e le giovanili tra le fila di B90 e Sant’Orsola. Infine, l’approdo alla Dinamo Sassari nelle ultime due passate stagioni, con cui ha disputato l’Under 19 e vissuto l’esperienza della Next Generation.
Sono stati due anni fantastici, nei quali sono cresciuto in modo esponenziale a livello cestistico proprio perché è qui che ho ripreso a giocare forte dopo l’infortunio al ginocchio. Ho avuto la fortuna di condividere questo percorso con un gruppo di compagni meraviglioso, che in sostanza era lo stesso della serie C, e con degli allenatori altrettanto importanti sia dentro che fuori dal campo (Roberto Zucca, Antonio Carlini, Arnaldo Dellacà).
La Next Generation ha per me un significato davvero speciale, perché è la competizione in cui ho ripreso a giocare dopo la rottura del crociato. È stata un’esperienza unica perché mi ha permesso di toccare con mano cosa sia realmente il basket a livello professionistico ed è stato un onore avere questo privilegio che solo le squadre U19 dei club militanti in Serie A hanno l’occasione di vivere. Ho avuto, inoltre, la possibilità di confrontarmi con ragazzi di un livello superiore al quale non siamo abituati in Sardegna: la differenza maggiore che si può notare è sicuramente di tipo fisico, infatti abbiamo sofferto tanto da questo punto di vista poiché abbiamo affrontato squadre meglio strutturate fisicamente. In più, tutti i team della penisola sono abituati a giocare a un’intensità maggiore rispetto a quella dell’isola in giorni abbastanza ravvicinato. Nonostante ciò, negli ultimi due anni abbiamo sfiorato la qualificazione alle Final 8 con una squadra interamente sarda, composta solo da ragazzi di Sassari, per questo credo che sia stata davvero una grande occasione di crescita per noi.
Nel 2022, Alessandro ha subito un grave infortunio al ginocchio che lo ha tenuto lontano dal parquet.
La rottura del crociato è stata un punto di svolta per la tua (ancora giovanissima) carriera? Che cosa ti ha spinto a non mollare e tornare più forte di prima e come hai affrontato una situazione così difficile?
Ho sempre pensato che, nonostante la sua gravità, l’infortunio sia stato per me un qualcosa di positivo, infatti ho imparato a concentrarmi molto di più sul basket, ad avere un’etica del lavoro migliore rispetto a prima e ad avere una determinazione maggiore. Quando mi è stata confermata la diagnosi, dopo un primo periodo confusionario, ho da subito pensato al post operazione e alla riabilitazione, per cui mi ha aiutato tanto avere un obiettivo fisso nella mia mente, ovvero quello di tornare il prima possibile in campo. Non è stata assolutamente una situazione facile – ha coinciso anche con il periodo del Covid – ma ho avuto la forza di non mollare per raggiungere giorno dopo giorno il mio scopo.
Lo scorso anno hai disputato inoltre il campionato di Serie C con la Sef Torres da protagonista. Cosa ha rappresentato per te la finale giocata contro l’Innovyou Sennori, considerando che la vostra squadra, composta perlopiù da giovani, non ha avuto paura del confronto con i veterani sennoresi?
Inizialmente, raggiungere la finale era un obiettivo, infatti volevamo migliorare il risultato della passata stagione in cui ci siamo giocati il campionato contro la Ferrini. Durante l’anno abbiamo affrontato diverse difficoltà, ma da quando sono iniziati i playoff ci siamo compattati come gruppo e, dopo la vittoria dei quarti di finale contro il Sant’Orsola, non ci siamo arresi e abbiamo gettato il cuore oltre l’ostacolo e vinto la serie contro la Ferrini. Abbiamo giocato la finale con la massima intensità, nonostante i numerosi infortuni, e sono sicuro che se fossimo arrivati a gara 5 il risultato finale non sarebbe stato scontato perché in gara secca tutto può succedere.
L’esordio in serie A con la maglia della Dinamo contro Reggio Emilia è stata la ciliegina sulla torta di una stagione pazzesca. Quali emozioni hai vissuto quel giorno?
Ho scoperto di essere stato convocato la mattina stessa della partita perché Riccardo Pisano si era infortunato la sera prima in gara 1 delle finali di serie C. Da quella chiamata ho iniziato ad avere i brividi perché per me si trattava effettivamente della prima convocazione in serie A (se escludiamo la piccola parentesi del City of Cagliari). La prima cosa a cui ho pensato è stata quella di invitare i miei parenti più stretti, che mi hanno sempre sostenuto.
Si respirava un’aria tranquilla e serena in panchina in quanto era l’ultima partita di campionato e la squadra aveva già raggiunto la salvezza matematica. A 5 minuti dalla fine del match, coach Markovic mi ha chiesto di prepararmi perché ai 3 minuti sarei dovuto entrare: da quel momento tutti i compagni hanno iniziato a “gasarmi” e io non stavo più nella pelle. Una volta in campo, nonostante i primi errori al tiro, la squadra ha continuato ad incitarmi ed è proprio lì che non ho mollato e ho segnato la prima tripla: in quella frazione di secondo il mio pensiero è andato ai miei genitori, ai quali ho dedicato i miei primi tre punti in serie A. Dopo il primo canestro, ho preso fiducia e segnato la seconda tripla: in quell’istante ho pensato ai sacrifici e a tutti i momenti brutti che ho dovuto affrontare in questi ultimi due anni, ma credo che siano stati pienamente ripagati da un mix di emozioni bellissimo che non dimenticherò mai.
Quest’anno sei approdato a Bergamo con la maglia di BluOrobica, dove stai disputando i campionati di Under 19 Eccellenza e Serie B Interregionale. Come mai hai deciso di vivere un’esperienza fuori dalla Sardegna? Quali sono le differenze che noti a livello tecnico tra le due realtà?
Ho rifiutato l’idea di rimanere un altro anno in Sardegna perché mi piacerebbe provare l’esperienza delle finali nazionali a livello giovanile. Purtroppo non ho mai provato questa emozione perché gli anni in cui sono stato in Dinamo non c’è stato il collegamento con le finali nazionali Eccellenza, perciò questo è uno dei motivi che mi ha spinto ad andare via.
Inoltre, il mio obiettivo è quello di alzare l’asticella e di disputare delle competizioni con squadre di alto livello. Durante questa stagione cercherò di migliorare il più possibile per farmi trovare preparato nel caso in cui si aprissero le porte di un campionato superiore. È stata, dunque, una scelta di crescita in vista del mio futuro cestistico.
Indubbiamente ho notato, già dalla prima settimana di allenamenti, delle differenze a livello tecnico tra la vecchia realtà e quella nuova. Qui l’intensità e i ritmi sono completamente diversi e mi sto ancora ambientando (infatti tutt’ora incontro qualche difficoltà) perché il livello è nettamente superiore rispetto a quello sardo.
Il sogno, comunque, è quello di tornare in Sardegna.
È scontato dire che per me, poter tornare in Sardegna con la maglia della Dinamo, sarebbe fantastico. Mi piacerebbe, però, farlo da giocatore professionista e non da piccolo aggregato, così da potermi ritagliare un posto nella squadra. Il sogno, insomma, è sempre quello di poter eguagliare la carriera del playmaker sassarese Marco Spissu, mio idolo da sempre. Vestire la canotta biancoblu mi renderebbe orgoglioso di rappresentare la mia isola, infatti con quei colori addosso si provano delle sensazioni meravigliose, difficili da spiegare a parole: poter giocare davanti alla propria città, alla propria gente e alle persone che conosco, ma soprattutto davanti alla mia famiglia, non ha prezzo.
Alessandro Dore è ormai conosciuto (soprattutto nel mondo dei social) come Ice Sugo. Ma qual è la storia legata a questo soprannome?
In realtà è nato tutto per caso: il nome SUGO era stato scelto da noi ragazzi in un camp estivo come parte finale del proprio account Instagram, mentre ICE nasce dall’esultanza “ICE IN MY VEINS” di uno dei miei giocatori preferiti, D’Angelo Russell; mi divertiva esultare come lui ogni volta che segnavo al campetto. Un giorno un mio amico ha unito i due nomi e da lì è nato questo soprannome che ormai mi rappresenta a tutti gli effetti. Ci sono più persone che mi chiamano con il soprannome piuttosto che con il nome vero e anche mia mamma ormai mi chiama Sugo e non più Alessandro!
Dediche e ringraziamenti.
Vorrei dedicare quest’intervista ai miei genitori e al mio amico Giancarlo Salteri che ormai non c’è più e che porto sempre nel mio cuore.
Inoltre, vorrei ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato nel periodo dell’infortunio: Fabio Ziranu per l’operazione; lo studio “FISIOSS” e Simone Unali per la parte di fisioterapia; Matteo Boccolini e Sandro Cozzula con il suo centro “BE A TRAINING” per la parte riabilitativa in palestra.
di Ilaria Mura