Di chi è la storia se non dei vincenti o di coloro che realizzano un’impresa? C’è una frase di Nelson Mandela che viene utilizzata anche come metafora sportiva: Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso. La storia della Dinamo donne parte probabilmente da tanti sogni: quelli di una società già alla ribalta nella pallacanestro maschile che vuole investire nel basket femminile, quelli di tante ragazze e professioniste che prima o poi vorrebbero essere riconosciute come tali, o perlomeno vivere un’epopea sportiva. Perché questo è lo sport: una staffetta di sogni da realizzare. La prima, storica stagione nella serie A1 femminile della Dinamo Sassari ha la voce, la grinta e il cuore di dieci donne che non si sono mai arrese.
Partiamo dagli inizi. Il 26 luglio 2020 la squadra entra a far parte ufficialmente della Legabasket femminile. Insieme alla Reyer Venezia e alla Virtus Bologna, la Dinamo Sassari è la terza società a schierare un team sia maschile sia femminile ai massimi livelli, e l’unica ad avere una squadra di basket in carrozzina che milita ugualmente in serie A.
Con il mercato quasi chiuso, la squadra si costruisce in tempi record e pesca due americane alla loro prima esperienza in Italia: Kennedy Burke e Sierra Calhoun, che si riveleranno la prima un impressionante talento cristallino e miglior realizzatrice del campionato (21,75 punti di media); la seconda un fattore decisivo nella partita più importante della stagione, chiudendola con una prova mostruosa: 16 punti, 20 rimbalzi e 4 assist.
Le chiavi del team vengono affidate ad Antonello Restivo e al vice Roberto Zucca, i quali partono da uno zoccolo duro di italiane che hanno già giocato insieme in A2 a Selargius (Cinzia Arioli, Margherita Mataloni, Giovanna Pertile, Delia Gagliano). Completano il roster la giovanissima Chiara Cantone e la slovacca Mikaela Fekete, lunga dai movimenti e dal bagaglio tecnico notevole. Le prime partite in casa si giocano con entusiasmo e con un pubblico di 700 persone che a stento si vede anche in piazze già rodate. L’esordio resterà nei ricordi: i primi punti li segna la 25enne nata a Brooklyn Calhoun, che poi ne metterà a referto 24, dando spettacolo con crossover e step-back ad una velocità tremenda. La Dinamo riuscirà a disputare solo un’altra partita in casa: contro la Virtus, che ambisce a far bene nei playoff, riesce a rimontare ben 22 punti ma poi deve cedere nel finale. Quest’atteggiamento mai domo sarà una costante. Ma sul quintetto incombe il Covid, per fortuna senza gravi strascichi ma di fatto la squadra non si allena per un mese. Un’enormità, soprattutto perché le straniere si allenano col gruppo da neanche tre settimane e la chimica stava iniziando a fare il suo corso. Non finisce qui: due infortuni pesanti mettono ko due elementi del quintetto, Arioli e Fekete. Poi Mataloni, la play titolare, deve lasciare la squadra per questioni personali e le rotazioni si riducono ancora di più. Nell’8° partita del girone di ritorno, contro Venezia la Dinamo subisce l’ottava sconfitta consecutiva. La squadra sembra aver perso la bussola ma da lì qualcosa cambia, irreversibilmente. Nell’incontro successivo contro Lucca, Sassari reagisce tutta d’un pezzo, ognuna si mette a disposizione della squadra, la palla gira, la retina brucia. Nel mentre, si fa più gruppo del solito in questa pazza annata di sport, limitata da una pandemia globale. Calhoun per esempio impara a cucinare la carbonara, il tiramisù e i cannoli, scoprendo di andar pazza per il pesto. Se le chiedi cosa è il basket, risponde che è «tutto per me. Sono cresciuta in una famiglia a pane e basket, questo sport include valori, come il gioco di squadra, la disciplina, la concentrazione, imprescindibili per aver successo nella vita». Per il futuro non si sbilancia, «i miei obiettivi sono quelli di fare sempre meglio e migliorare il mio gioco». Proprio lei che ha avuto la maturità di cambiare il suo stile offensivo durante la stagione, attaccando sempre più il canestro.
Il capolavoro si compie nella serie dei playout, al meglio delle tre partite contro PF Broni 93, una signora squadra che aveva tutt’altri piani a inizio campionato. La 1° partita la porta a casa la Dinamo in una delle migliori apparizioni della stagione, le altre due si giocano in Lombardia. La 2° viene vinta da Broni, l’ultima ha un finale pazzesco, sancito da un parziale di 6-22 che annienta le avversarie e che dimostra il carattere e la mentalità di una squadra su cui tanti, a inizio stagione, non avrebbero scommesso un centesimo.
«Abbiamo avuto l’umiltà di ammettere di essere una squadra di A2», è il commento della capitana, Cinzia Arioli. «È stato un anno tosto, ma siamo state bene insieme. Le straniere sono state probabilmente le migliori umanamente che ho incontrato in carriera. Abbiamo messo il cuore in ogni partita, e nell’ultima avevamo tutte la sensazione che non l’avremmo mai lasciata andare».
Il grande rammarico? «Non aver avuto il pubblico a sostenerci», continua la capitana, che ha concluso il campionato 6° nella classifica degli assist (4,1), «forse ci avrebbe dato la spinta giusta per vincere quelle partite decise allo scadere. Ma i tifosi si sono fatti sentire in altri modi, abbiamo ricevuto tanti messaggi, ricevuto striscioni. D’altronde a Sassari la pallacanestro si respira anche solo passeggiando per strada. E sono sincera, quest’anno non avrei accettato nessun’altra squadra se non la Dinamo. La società ci ha messo a disposizione qualunque cosa, lo staff tecnico ci ha dato tranquillità anche nei momenti bui. Abbiamo visto solo casa e palestra. Le uniche ore d’aria sono state in trasferta. Le americane non sono potute tornare a casa per Natale, io ho fatto terapia il 31 dicembre».
La 37enne originaria di Magenta sblocca i ricordi: «A luglio avevo promesso al presidente Stefano Sardara che ci saremmo salvate. Nonostante gli ostacoli, abbiamo centrato l’obiettivo. Mai come quest’anno ho provato intensamente ciò che ogni sportivo vive, mettendosi costantemente alla prova. Ed io ho ancora troppa passione per il gioco e per il campo. Ho apprezzato moltissimo persone come Kennedy, sia personalmente sia professionalmente. Si è commossa a fine partita e questa è una cosa che non succede a tutte le americane. Penso inoltre che non abbia preso ancora coscienza dei suoi devastanti mezzi (giocherà la prossima stagione con le campionesse WNBA delle Seattle Storm, ndr). Un’altra persona che voglio citare e che è forse l’emblema di questa squadra è Giovanna Pertile. Ha passato momenti di sfiducia ma è stata decisiva nelle partite di playout, specialmente nell’ultima, quella più importante. L’anima e la personalità di questo gruppo si sono dimostrate quando più contava, e quando in molti ci davano per spacciate. Invece siamo sempre state una cosa sola, anche la più giovane, Caterina Fara, è esplosa in pianto a fine partita. Questo significa che anche le più giovani si sono sentite coinvolte, pur essendo una cosa più grande di loro. E voglio ringraziare anche Cristian, Matteo, Andrea e Riccardo, i ragazzi che la società ci ha messo a disposizione durante l’anno per poterci allenare al meglio». L’anno prossimo? «Se questo è stato un anno di rodaggio, sono convinta che da adesso, programmando per la prossima stagione si potrà fare un campionato diverso, magari sognando i playoff».